Il rapporto con il cliente è sempre basato sulla fiducia e sul confronto. L’approccio, certo, è differente a seconda del tipo di servizio richiesto. Infatti, se per le attività di consulenza tecnico-legale o tecnico-amministrativa ci si basa su dati oggettivi o di interpretazione, per la parte più propriamente creativa, quella progettuale, il nostro lavoro è sempre guidato dal cliente e ci piace la tensione che si crea intorno a questo rapporto.
Ogni volta che affrontiamo una nuova progettazione, il senso di sfida tende a prevaricare la nostra volontà di confronto con la committenza, ma con prudenza e pazienza lo riconduciamo ad un dialogo costante e intenso, nell’idea di trasformare quelli che sono concetti immateriali e cioè esigenze, sensazioni, funzioni – il software – in forme materiali – l’hardware – che soddisfino le percezioni sensoriali di chi vivrà il Luogo.
Però, ancor prima che inseguire la forma, ciò che noi ricerchiamo nel rapporto con il cliente è l’empatia, un elemento imprescindibile per arrivare a “svelare” il progetto ideale che è nella sua mente e di cui, spesso, neanche lui è pienamente consapevole.
Poco importa se ci stiamo accingendo a progettare un appartamento od una residenza monofamiliare, uno space-office od uno show-room; ogni volta è come entrare nell’animo del nostro interlocutore: lo osserviamo, lo ascoltiamo e con curiosità chiediamo, indaghiamo, cerchiamo di scardinare le resistenze dettate da chi spesso poco conosce in cosa consista il lavoro dell’architetto, il nostro. Tendono subito ad entrare nell’aspetto marcatamente funzionale, come chi nell’acqua alta del mare ha necessità di trovare immediatamente un appiglio solido a cui aggrapparsi, nel nostro caso il bagno piuttosto che un pilastro, una scala, il termosifone, gli arredi. Ma a noi interessa capire quali abitudini di vita e quali aspettative celi il nostro interlocutore, la nostra interlocutrice; le donne in questo senso sono più pronte a gettare il velo e lasciarsi guidare, alla ricerca di un linguaggio comune e di un’operatività concretamente proiettata verso l’obiettivo finale.
Possiamo dire che, nella fase preliminare, il nostro approccio è di tipo “maieutico”; utilizziamo gli strumenti in nostro possesso per far sì che il cliente possa “chiarirsi bene le idee” e, insieme, possiamo fissare dei punti fermi e definire la direzione da dare al nostro lavoro, perché il nostro obiettivo è che il progetto prima e “l’oggetto” poi, oltre a recare chiara la nostra impronta, possano rispecchiare la personalità e soddisfare le esigenze di chi lo utilizzerà.
Poi ci sono quelle volte in cui, visitando il luogo da progettare, è esso stesso a suggerirci idee e a regalarci suggestioni. E allora l’istinto irrefrenabile è quello di prendere carta e penna e disegnare, schizzare particolari architettonici, tradurre in segni le ispirazioni del “genius loci”, ridefinendo quegli spazi per intero compiutamente. Sono questi i progetti del cuore, quelli che lasciano un segno dentro di noi, una traccia che si ripropone anche nei progetti successivi e che crea il nostro stile personale.